Il disturbo da insonnia è caratterizzato dall’insoddisfazione riguardo il proprio sonno, che viene percepito non ristoratore, di scarsa qualità o quantità nonostante la persona trascorra molto tempo a letto e le condizioni per dormire siano adeguate.
Esistono vari tipi di insonnia:
- insonnia iniziale: quando la difficoltà riguarda l’addormentamento, la cui latenza è variabile dalla mezz’ora a diverse ore;
- insonnia centrale: quando il soggetto ha difficoltà a mantenere il sonno durante la notte a causa di frequenti e/o protratti risvegli notturni;
- insonnia tardiva: caratterizzata da precoci risvegli al mattino con incapacità a riaddormentarsi; tale difficoltà deve essere valutata considerando non solo l’ora del risveglio ma anche l’ora in cui si è andati a dormire la sera prima.
Inoltre l’insonnia può essere definita “episodica”, se i sintomi durano meno di 3 mesi, o “cronica”.
Per parlare di disturbo da insonnia la difficoltà del sonno deve presentarsi frequentemente, almeno 3 volte a settimana.
L’insonnia può presentarsi come disturbo autonomo (insonnia primaria) o associato ad altre condizioni di tipo medico, psicologico o psichiatrico (insonnia secondaria).
Oltre ai sintomi notturni, l’insonnia ha conseguenze di vario tipo sulla vita diurna: i soggetti insonni lamentano spesso, durante la giornata, sensazione di stanchezza e malessere, difficoltà di concentrazione e memoria, eccessiva sonnolenza, maggiore propensione a commettere errori, irritabilità, cattivo umore e preoccupazione per la perdita del sonno. Queste difficoltà possono avere
importanti effetti negativi sulla salute e sulla qualità della vita, compromettendo il funzionamento lavorativo, sociale, comportamentale.
L’insonnia è un disturbo del sonno piuttosto diffuso che sembra colpire il 30% della popolazione adulta, e soprattutto quella femminile. L’esordio può verificarsi in ogni momento della vita ma il primo episodio è generalmente più frequente nei giovani adulti. Nelle femmine il disturbo può avere la prima insorgenza in concomitanza con la nascita di un figlio o durante la menopausa.
Sembra che la probabilità di sviluppare il disturbo sia correlata all’esistenza di alcuni fattori di tipo:
- individuale: stili cognitivi ansiosi o inclini alla preoccupazione sembrano aumentare la vulnerabilità all’insonnia;
- ambientale: luce, rumori, temperatura troppo alta o fredda;
- genetico: l’invecchiamento e il genere femminile sembrano associati a un maggior rischio di insorgenza del disturbo; inoltre sembra esserci una certa predisposizione familiare data la maggior diffusione dell’insonnia tra familiari di primo grado.
Il 74% delle persone con insonnia ricorda uno specifico problema associato all’esordio del disturbo.
Tra i fattori ritenuti causa della sua insorgenza, gli eventi stressanti (ad esempio lutti, separazioni, conflitti familiari/lavorativi o stress quotidiani meno gravi ma cronici) sono riportati nell’80% dei casi seguiti da problemi fisici, inadeguata igiene del sonno e fattori ambientali.
In alcune persone l’insonnia può essere situazionale/transitoria, durando pochi giorni o poche settimane, e scomparire con la risoluzione della situazione scatenante. In altre persone invece può cronicizzarsi protraendosi anche dopo la scomparsa dell’evento che ha innescato il disturbo.
Questo può accadere perché la persona sviluppa preoccupazioni e pensieri disfunzionali legati al sonno e all’insonnia (“domani ho una giornata impegnativa, devo assolutamente dormire stanotte!”; “speriamo di riuscire a dormire altrimenti domani sarà una giornata disastrosa”) che contribuiscono allo sviluppo di un circolo vizioso, causando così il mantenimento del disturbo del sonno.
Il soggetto si sforza a dormire ma paradossalmente questo sforzo compromette ulteriormente il sonno aumentando la preoccupazione e la frustrazione relativa al non riuscire a dormire. Inoltre, le preoccupazioni creano in lui una forte attivazione cognitiva, emotiva, fisiologica (agitazione, apprensione, ansia, tensione muscolare) incompatibile con i meccanismi che portano
all’addormentamento.
La persona molto spesso mette in atto dei comportamenti disfunzionali per la paura di non riuscire a dormire o per compensare la perdita di sonno (ad es. sonnellini diurni), che combinati a convinzioni negative e preoccupazioni (paura di non riuscire a dormire, ansia) mantengono nel tempo un problema che altrimenti si sarebbe risolto, e avrebbe avuto una durata limitata nel tempo.
La terapia cognitivo comportamentale è considerata il trattamento di prima scelta per l’insonnia primaria cronica, e può essere applicata da sola o in associazione ai farmaci ipnotici, permettendo inoltre di ridurne l’uso. L’obiettivo primario del trattamento è quello di migliorare la qualità/quantità del sonno del paziente e di conseguenza il suo funzionamento durante la giornata.
Alcuni obiettivi specifici del trattamento comprendono:
- fornire informazioni sull’insonnia e sulle norme per una corretta “igiene del sonno”;
- rimuovere i fattori che condizionano la mente al non dormire;
- aumentare l’efficienza del sonno, regolarizzando il ritmo sonno-veglia con l’applicazione di specifiche tecniche comportamentali;
- modificare i pensieri disfunzionali sul sonno e gli atteggiamenti dannosi nei confronti dell’insonnia attraverso l’utilizzo di specifiche tecniche cognitive;
- informazioni per la prevenzione delle ricadute.
Il 70-80% percento dei pazienti che segue un programma di terapia cognitivo comportamentale, migliora significativamente la qualità del proprio sonno. Solitamente, al termine dell’intervento, le persone riferiscono di avere un sonno più profondo e meno disturbato dai risvegli notturni, e dichiarano di impiegare la metà del tempo per addormentarsi.